Skip to main content

EVOLUZIONE DELLA COSCIENZA

Scritto da Marco Ferrini

Quando la mente è aperta, lo spirito può penetrare oltre la cortina psichica e il cuore venir conquistato dalla felicità, quella felicità ontologica che è parte costitutiva dell’essenza di ogni essere umano.
Questo insegna la scienza dello Yoga, indicando al praticante i passi per raggiungere lo stato di coscienza in cui la gioia è intrinseca e non dipende più da fattori esterni.
Per lo Yoga, una mente aperta è una mente purificata, ovvero educata, disciplinata, ricondotta sotto la guida stabile e sicura del sé.
Nella psicologia dello Yoga la mente, così come il corpo, è prakriti (materia), non purusha (spirito); dunque è oggetto, non soggetto. Se il baricentro della personalità è l’atman, il sé spirituale, l’apparato psicofisico è uno strumento per poter realizzare il fine superiore (paranghatir) della vita: l’evoluzione della coscienza che porta a conseguire felicità e amore.
Per cui sia la mente che il corpo sono strumenti del sé. Dispositivi importantissimi, certo, da sottoporre ogni giorno a una manutenzione accurata (attraverso, per cominciare, l’abitudine ad alimentarsi in modo sano e non-violento), ma pur sempre “attrezzi” della parte spirituale dell’individuo, mai soggetti dell’esperienza.
Riuscire a disciplinare i sensi e quel “sesto senso” che è la mente significa aver messo le basi per una rapida marcia verso la realizzazione spirituale che coincide col diventare la migliore versione di sé stessi ovvero la manifestazione compiuta di ogni propria potenzialità.
In quell’opera meravigliosa di filosofia perenne che è la Bhagavad Gita, Shri Krishna, l’archetipo del Guru universale, spiega al discepolo Arjuna qual è la natura della mente e come arrivare a disciplinarla:
“La mente può essere amica dell’essere umano, ma può esserle anche nemica. Una persona deve servirsene per liberarsi, non per degradarsi” (6,5). “Per chi l’ha dominata, la mente è la migliore amica, ma per chi ha fallito resta la peggior nemica” (6,6). “Dovunque vada, portata dalla sua natura instabile e febbrile, la mente deve essere senz’altro dominata e ricondotta sotto il controllo del sé” (6,26).
In questo dialogo di straordinaria intensità, Arjuna, principe guerriero addestrato al combattimento e al successo militare, riconosce la difficoltà del compito che il Maestro gli indica e gli dice: “La mente, o Krishna, è irrequieta, impetuosa, potente e ostinata; dominarla mi sembra più difficile che controllare il vento” (6,34).
Il Maestro non nega la difficoltà, la riconosce, ma fornisce al discepolo gli strumenti per riuscire nell’impresa: “(…) è indubbiamente difficile domare la mente inquieta, ma è possibile col distacco e una pratica adeguata” (6,35). Abhyasa e vairagya: disciplina costante e distacco emotivo. Sono le due ricette che la scienza della Yoga dà a chi vuole ottenere la realizzazione spirituale e portare gioia essenziale nella propria vita, ottenendo un cuore felice, aperto e dedito all’Amore.
La sadhana (pratica, disciplina) rigorosa e costante è il primo passo.
Cosa può significare concretamente nelle nostre vite? Ad esempio alzarsi di buon ora al mattino (essendo andati a letto presto la sera prima in modo da dormire un numero adeguato di ore) e praticare la propria disciplina spirituale: eseguire asana e pranayama, meditare, pregare.
Porta benefici enormi dedicare, nell’arco della giornata, il giusto tempo a curare la propria interiorità per riscoprire quel legame eterno che lega il nostro sé individuale al Sé universale, l’atman al Paramatma. All’inizio possono bastare anche solo 10 minuti poi, mano a mano che si sviluppa il gusto, il tempo che si desidera dedicare a queste pratiche si allunga senza sacrificio e aumentano i benefici.
L’altro strumento, spiega la Gita, è il distacco emotivo. Che non va confuso con insensibilità o indifferenza. Anzi, è esattamente il contrario, perché è proprio la capacità di non farsi travolgere dalle emozioni che permette l’esercizio dell’empatia e della compassione.
Come si conquista vairagya?
Scegliendo di identificarsi non con il corpo né con la mente, bensì con l’osservatore, con il testimone. E dunque imparando a osservare, come se capitasse ad un altro, ciò che si fa, ciò che si dice, ciò che si pensa, ciò che si prova. La pratica dell’osservazione costante deve essere scevra da giudizi svalutanti e criticità eccessiva verso sé stessi, e orientata al desiderio di diventare ogni giorno migliori.
Anche la sadhana mattutina aiuta a sviluppare il distacco emotivo.
Lo Yoga insomma fornisce conoscenze e strumenti, di indubbia efficacia perché testati da millenni, per imparare a vivere nel cuore, dopo aver aperto il campo mentale, liberandolo dalla prigione fatta di pensieri empirici e limitanti, emozioni disfunzionali, blocchi psichici, difetti delle personalità, illusioni, che impediscono alla luce del sé superiore di illuminare la coscienza.
Il risultato di questo lavoro è “Vishoka va jotyshmati” come scrive Pantajali (sutra XXXVI, Samadhi Pada): “La serenità è luce”. Una luce che emana da sé stessi e che illumina tutto ciò con cui si viene in contatto.


ARTICOLO DI MARCO FERRINI PUBBLICATO SULLA RIVISTA VIVERE LO YOGA n° 83,  OTTOBRE-NOVEMBRE 2018

Lascia un commento e condividi subito il link con i tuoi amici in modo che l’energia delle parole del maestro possa arrivare a quante più persone possibili!

INFORMAZIONI DI CONTATTO

  • (+39) 0587 733730

  • (+39) 0587 739898

  • (+39) 320 3264838

  • Via Manzoni 9A, Ponsacco (PI)
Copyright © Centro Studi Bhaktivedanta, tutti i diritti sono riservati. P.IVA 01636650507 C.F. 90021780508