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Asteya - Non rubare

 

“Questo intero universo

-che è in continuo movimento-

e qualunque essere vivente che lo abiti,

tutto è pervaso dal Signore.

Perciò godi della parte che Egli ti ha assegnato

e non bramare o cercare di ottenere

le ricchezze che ad altri sono state accordate.”

Īśa-Upaniṣad, I Mantra

 

Questo mantra della Īśa-Upaniṣad ci offre con chiarezza e splendore il contesto filosofico e culturale in cui collocare il terzo principio fondamentale su cui incardinare la nostra vita evolutiva: asteya, il non-rubare1.

Potremmo parlare dell’aspetto sociologico o di quello psicologico, e delle conseguenze distruttive che in entrambe queste sfere della vita umana l’atto di sottrarre illecitamente ad altri le proprie ricchezze implica. Ma nel contesto della nostra attualità, preferisco concentrarmi su categorie ancor più macroscopiche, a cominciare da quella della nostra relazione, in quanto umanità, con la Natura.

Siamo ospiti di un sistema fatto di complessi e delicati equilibri, eppure ci muoviamo all’interno di esso come sfacciati predatori. Tutto ci parla di prudenza e misura, e non è necessario essere dotati di grande preveggenza per comprendere che ogni abuso sarà rimesso in conto a chi lo perpetra. Eppure l’avidità acceca e instupidisce, e la paura di restare indietro nella corsa forsennata verso una fantasmagorica sicurezza materiale spinge sempre di più l’essere umano ad afferrare ingordamente quanto giunga alla sua portata.

Madre Natura. Il termine ‘madre’ origina dal sanscrito mātṛ, che significa letteralmente ‘colei che ripartisce’. Dunque, è la mancanza di fede -e la corrispondente disperata pretesa di provvedere autonomamente alla soddisfazione dei propri bisogni- che impedisce all’uomo contemporaneo di gustare l’opulenza che pure gli sarebbe concessa di diritto. Oggi si fa un gran parlare di sovrappopolazione umana che, secondo gli scienziati alla moda, sarebbe la causa del dissesto ambientale. Per cui la soluzione per molti sembra corrispondere a una drastica riduzione della popolazione, casomai attraverso consapevoli e programmatiche politiche di spietato stampo malthusiano. Ma la Bhagavad-gītā ci insegna che chi vive virtuosamente non è mai sconfitto, né in questa vita né nella prossima2. Per cui, dovremmo cercare risposta ai nostri problemi nella pratica delle virtù e non in artificiosi costrutti logico-razionali fondati su presupposti erronei.

Cominciamo a dismette la nostra attitudine predatoria nei confronti della Natura, imparando ad accettare quanto ci è spontaneamente concesso. La Natura ha risorse sufficienti ma non illimitate, e il troppo per qualcuno corrisponde al troppo poco per qualcun altro. Su questo pianeta non siamo in troppi, ma in troppi siamo avidi. È l’avidità la causa di ogni penuria, perché è insaziabile. Si riducesse anche la popolazione umana al 10% dell’attuale, se nel cuore delle persone continuasse a imperversare questa lebbra del carattere continuerebbero a scoppiare guerre per accaparrarsi le ricchezze. Dobbiamo piuttosto riformare la cultura e la mentalità dominanti, capovolgendo l’assunto hobbesiano che ogni uomo è predatore di un altro uomo. Tale folle premessa non può che condurre all’inverarsi della triste profezia di un’umanità nemica di se stessa, quando i grandi testi sapienziali insegnano che il vero avversario è una mentalità distorta e corrotta3. Piuttosto che perseverare cocciutamente nell’assecondare una concezione tossica e distruttiva, dovremmo immediatamente porci all’opposto, come insegna il grade saggio Patañjali nei suoi Yoga-sūtra4. Il successo consiste nel contrapporre all’impulso di afferrare, il gesto di donare. Donare ciascuno i talenti e le ricchezze di cui è portatore, per trasformare finalmente l’umanità in ciò in cui archetipicamente consiste: una famiglia solidale, in cui ciascuno è valorizzato per il contributo unico che può offrire al benessere di tutti. Una famiglia che abbraccia tutte le creature in spirito di fratellanza, e che ha la terra come madre e casa. La cultura dell’Amore, il Bhakti-Yoga, è al fondamento della civiltà del donare, prossima a venire.

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1 Questo articolo prosegue il discorso iniziato con le precedenti riflessioni, sui temi della Non-violenza (Ahiṁsā) e della Veridicità (Satya).

https://www.centrostudi.net/blog/436-ahi%E1%B9%81s%C4%81-dalla-non-violenza-alla-pratica-dell%E2%80%99amore.html

https://www.centrostudi.net/blog/439-satya-la-verit%C3%A0-%C3%A8-la-cura.html

2 Vd. Bhagavad-gītā 6.40.

3 Cf. Bhagavad-gītā 6.5, dove si afferma che la mente è l’unico nemico del sé (ātmaiva ripur ātmanaḥ).

4 Vd. Yoga-sūtra 2.33: vitarka-bādhane pratiprakṣa-bhāvanam, ‘quando insorge un pensiero disturbante, lo si contrasti con uno di segno opposto’.

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