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La festa dei morti, anzi dei vivi

Era qualche anno che non andavo in cimitero il giorno dei morti che, nella tradizione cristiana, cade il 2 novembre. Negli ultimi anni, il “ponte dei morti” o “di Ognissanti” l’avevo sempre trascorso lontano da casa, in genere al seminario autunnale del maestro Marco Ferrini, al CSB.
Stavolta però sono rimasta nella mia città e così ho deciso di riprendere la buona abitudine di passare in cimitero a portare un fiore ai miei cari. Ci sono andata all’imbrunire. Quando il sole è calato e sulle tombe si sono accese le lampade, mi è sembrato un luogo incantato, pieno di pace.  
Mi dava malinconia (e un filino di angoscia), un tempo, il classico giro al camposanto del 2 novembre. Quest’anno invece è stata un’esperienza diversa, oserei dire lieta. 
Cos’è cambiato, mi sono chiesta? È cambiato il mio rapporto con il fenomeno morte. 
La pratica meditativa, lo studio dei testi sacri, l’incontro con anime realizzate mi hanno portato a percepire la continuità della vita e a considerare la morte solo un passaggio, una trasformazione. 
Negli Yoga Sutra di Patanjali, uno dei cinque condizionamenti è abhinivesha, l’attaccamento al corpo e la conseguente paura della morte, che origina da avidya, la nescienza, l’ignoranza. 
Finché si ignora la propria vera natura, si viene stritolati dalla paura della morte. Una paura il più delle volte inconscia che condiziona subdolamente la propria vita. 
Insegnano i Veda che la vera natura del sé individuale è eterna e non finisce con la dissoluzione del corpo. Che l’identità coscienziale di ciascuno continua il suo “viaggio”, in altre dimensioni, in altre forme. 
Nella Bhagavad Gita, Shri Krishna lo spiega al guerriero Arjuna sul campo di battaglia di Kurukshetra: “Sappi che non può essere annientato ciò che pervade il corpo. Nulla può distruggere l’anima eterna” (BG II,17).
Quel Dio amico, conduttore del carro da guerra, maestro e guida, lo ripete più volte ad Arjuna. Lo ripete in più versi consecutivi di quell’illuminante testo che è la Gita, un manuale esistenziale che dovrebbe essere introdotto in tutte le scuole di ogni ordine e grado. 
Anche noi, come il guerriero spaventato e smarrito, abbiamo bisogno di sentircelo ripetere più volte che “l’anima è indistruttibile, eterna e senza dimensioni”, che “soltanto i corpi materiali che assume sono soggetti alla distruzione” (BG II, 18).
I nostri sensi materiali infatti non vedono oltre il mistero: serve allenarsi a percezioni più sottili con pazienza e metodo. 
Un seminario del maestro Marco Ferrini che mi è stato particolarmente utile per acquisire una visione evolutiva del fenomeno morte – e che ho ascoltato più volte nel corso degli anni - è quello da lui tenuto l’8 marzo 2008 al personale medico ed infermieristico dell’ospedale Niguarda di Milano.
Si intitola L’evento morte: elaborazione del concetto e lo si può acquisire qui.

Francesca Nicastro

 

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