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Il toro bianco nell’era di Kali

Era il 7 Agosto scorso quando, durante la lezione pomeridiana del seminario estivo di Marco Ferrini, si è composta nella mia mente, grazie all’ascolto delle sue parole, un’ immagine che ho poi riscontrato essere diventata indelebile. Non si tratta di una visione ispirante e potrebbe forse anche turbare il lettore. Lo yoga però ci invita ad uscire dalla dualità raga/dvesha , piacere e avversione, e organizzare le esperienze, e anche le impressioni che transitano o permangono nel nostro campo mentale, rispondendo ad un altro principio. Questa immagine, quasi cruenta, favorisce la mia comprensione del Dharma, l’ordine cosmo etico universale, e delle sue sorti nel nostro tempo storico? Un toro bianco come un fiore di loto, appoggiato in modo non stabile su un’unica gamba, sofferente, sta lacrimando per la tristezza della sua condizione. In quello stato doloroso viene colpito violentemente da un uomo degradato, che veste i panni di un re, senza averne le qualità. Vicino al toro c’è una mucca, anch’essa piangente per i colpi subiti. Ecco gli elementi dell’immagine. Siamo nel diciassettesimo capitolo dello Shrimad Bhagavatam che ha titolo “Punizione e grazia per Kali”.

Scrive Shrila Prabhupada: “La prima caratteristica dell’era di Kali è che gli shudra degradati, cioè gli uomini privi della cultura brahminica e dell’iniziazione spirituale, si vestano da re o da amministratori senza possedere le qualità degli kshatrya”. Gli Kshatrya sono quel comparto sociale che secondo l’ordine del Daiva Varna Ashrama Dharma avrebbe il compito di guidare la società, organizzandola, predisponendo leggi che favoriscano l’evoluzione degli individui e la salvaguardia dell’ambiente e delle risorse, facendo rispettare le regole allo scopo di proteggere la società. Gli Kshatrya sono oggi i giudici, i capi di stato, i sindaci, i prefetti, i commissari di polizia, i generali dell’esercito. E’ però raro che nel nostro tempo storico questi ruoli siano ricoperti da persone che hanno un comportamento corretto, ancor più raro che questo sia esemplare. Allo scopo di favorire riflessioni su questa condizione, durante i seminari del CSB è stata proiettata in più di un’occasione La parabola dei ciechi, l’opera pittorica di Pieter Bruegel; si tratta di un dipinto che raffigura le parole di Gesù di Nazareth nel Vangelo di Matteo: “Sono ciechi che guidano altri ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso” (Mt.15.14).

Shrila Prabhpada nel suo commento al diciassettesimo capitolo dello Shirmad Bhagavatam, prosegue spiegando che la seconda caratteristica dell’era di Kali è che i principi religiosi vengono attaccati, i valori delle tradizioni religiose calpestati con l’effetto nefasto di un abbattimento della cultura rispettosa delle potenzialità dell’essere umano.

E’ Re Parikshit ad incontrare lungo le strade del proprio regno il toro bianco che si sostiene su un’unica gamba e subisce i colpi soffrendo. L’imperatore del mondo ne rimane scioccato, lo considera un fatto orribile e si esprime rivolgendosi al toro e alla mucca con compassione spiegando che fino a quel giorno nessuno mai sull’intero pianeta aveva causato la sofferenza di un animale innocente. Chi soffre? Il toro è la rappresentazione del Dharma nell’era di Kali, un ordine cosmo etico che per tre quarti si è estinto. Ogni gamba del toro che è stata brutalmente amputata rappresenta infatti una qualità dell’ordine che ha caratterizzato la vita nelle ere precedenti: Satya Yuga, Tetra Yuga, Dvapara Yuga. Inoltre ciò che rimane del Dharma nel tempo di Kali Yuga, quel toro in bilico su un’unica gamba, è sempre sotto attacco e sul punto di crollare.

Posso quindi rispondere alla domanda iniziale in modo affermativo. Questa vritti visiva, sebbene triste, mi richiama alla salvaguardia del toro bianco, non certo attraverso le gesta eroiche di un grande imperatore, ma umilmente con l’allenamento costante ad agire rispettando il Dharma sopravvissuto nel tempo di Kali, con lo sguardo alle scritture sacre, dove si può trovare il Dharma mancante.

Noi possiamo vivere per intero tutti e quattro i quarti del Dharma” questa è stata l’esortazione di Marco Ferrini al termine di questo insegnamento; possiamo viverlo nelle nostre famiglie, nei nostri ambienti di lavoro, nelle relazioni di amicizia. Per questo motivo nei seminari che frequentiamo siamo costantemente esortati allo studio. Nei testi sacri della Shruti e della Smriti si possono infatti riscoprire tratti di sensibilità umana che sono andati perduti. Studiando testi che sono stati custoditi nei secoli e appartengono ad una cultura così antica, le nostre mappe mentali si rinnovano, i principi etici sbiaditi riaffiorano alla coscienza, si impara ad uscire dal torpore per scoprire anche di provare turbamento davanti all’oppressione del toro bianco e un benefico desiderio di protezione.

Kali Yuga: con questo termine si fa riferimento all’ultima delle quattro ere che si susseguono ciclicamente e che caratterizzano il divenire cosmico. Kali significa ‘litigio’, la nostra è infatti un’epoca caratterizzata dalla discordia e dal progressivo rifiuto dei principi religiosi. Per approfondimenti si consiglia la lettura del testo Contesto e Fonti della Letteratura Vedica, pagine 45 e 46.

Fonte immagine: Bhaktivedanta Book Trust International

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