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LA PROSPETTIVA DELL’ETERNITÀ

Come riuscire a non identificarsi con gli accadimenti dolorosi della vita? 

Guardando al mondo nella prospettiva dell’eternità. 

Quante volte il Maestro Marco Ferrini ci incoraggia a fare nostra questa salvifica ed illuminante visione.

Quando medito su questa potente e penetrante affermazione, la mia coscienza spesso assopita, distratta ed identificata con le preoccupazioni quotidiane della vita, si scuote, si risveglia, si riconnette alla Realtà, salvandomi dal rischio di entrare in uno stato di ansia, finanche di angoscia.

Tutti i testi della Tradizione indovedica spiegano infatti che la principale fonte di sofferenza dell’essere umano è causata dal suo identificarsi con ciò che non è, quale conseguenza dell’inconsapevolezza della propria natura spirituale (avidya). Come sintetizza magistralmente Patanjali nel sutra 5 del Sadhana Pada, essa consiste nel “percepire ciò che è impermanente come eterno, ciò che è impuro come puro, ciò che reca dolore come qualcosa che reca felicità e il sé in ciò che è diverso dal sé”.

Come possiamo quindi avere accesso ad una visione superiore della realtà, che ci liberi e ci salvi da una concezione limitante, distorta e sofferente dell’esistenza umana?

Imparando, prima di tutto, a distinguere tra ciò che è riconducibile all’eternità- sat - da ciò che non lo è- asat.

 Lo studio della filosofia Samkhya, che nel percorso del Centro Studi Bhaktivendanta rappresenta una delle materie base, è stata per me illuminante, proprio perché fornisce un’investigazione completa ed esaustiva della realtà, attraverso la distinzione e l’analisi delle due categorie fondamentali che la costituiscono: spirito e materia, purusha e prakriti.

L’interessante teoria del parinama, ossia della modificazione, chiarisce che appartiene alla materia tutto ciò che, sia nelle sue manifestazioni fisiche (aggregati di terra, acqua, fuoco, aria ed etere), che psichiche (facoltà sensoriali, mente, intelletto e concezione distorta dell’io), è per sua natura destinato a trasformarsi in qualcos’altro e a mutare quindi sotto l’implacabile effetto entropico del tempo. 

Per contro lo spirito, ovvero la vita che conferisce vigore e vitalità alla materia altrimenti inerte, essenza intima di tutto ciò che appare, è eterno, immutabile, immodificabile, non soggetto al paradigma spazio-temporale, bensì situato oltre ad esso.

Collocarsi quindi in una categoria piuttosto che nell’altra, e comprenderne le interazioni ed implicazioni, fa decisamente la differenza.

Prendere gradualmente coscienza di non essere la struttura fisica che temporaneamente ci ospita, di non essere la risultante degli errori del passato o delle preoccupazioni del presente, i pensieri o le emozioni disturbanti che vanno e vengono, bensì vivere praticando la consapevolezza della nostra natura spirituale, situata ben oltre a queste limitanti condizioni umane, ci fa assaporare con crescente intensità la nostra forma eterna. 

 Declinare ogni desiderio, pensiero ed azione alla realizzazione di ciò, conferisce alla vita una progettualità che trascende e travalica i limitati orizzonti di questo breve segmento di esistenza incarnata.

Interrogarsi costantemente “chi sta desiderando, pensando, agendo? La parte di noi identificata con ciò che è transitorio ed effimero (ahamkara) o il nostro vero sé, la parte di noi più autentica (atman)?;domandarsi sempre in quale misura le scelte che compiamo siano davvero funzionali alla nostra evoluzione personale e spirituale, sono tutti esercizi di realtà, che ci aiutano a conseguire e realizzare la nostra eternità qui ed ora.  

Questo processo di disidentificazione dalle apparenze e di riconnessione alla Realtà, da cui scaturisce naturalmente vairagya, il distacco emotivo, produce effetti straordinariamente benefici non solo sul piano spirituale, in quanto consente di conoscersi sempre più in profondità e di riscoprire gradualmente la propria natura ontologica costituita di eternità, consapevolezza e beatitudine, bensì anche su quello psicologico poiché le acque agitate della mente si calmano, si acquietano, si rasserenano, restituendoci la tanto anelata pace interiore.

Di quando in quando il Maestro cita un’ispirante affermazione di Spinosa che alla domanda di cosa si fosse davvero innamorato nella vita, rispose: “sono giunto alla decisione di amare solo ciò che è eterno ed infinito, perché solo questo può dare la vera gioia”.

Pamela Dal Maso

 

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