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SONO LE PRETESE CHE ROVINANO TUTTO

Alla domanda: “possiamo pregare Dio perché allevii la nostra sofferenza?” il Maestro ha risposto: “Si, ma senza aspettative” e poi ha aggiunto: “sono le pretese che rovinano tutto”.
Questo passaggio, tratto dal seminario “La funzione evolutiva del dolore” ha risuonato particolarmente in me, portandomi a riflettere su quanto sia centrale per la nostra evoluzione umana e spirituale riuscire a svincolarsi dall’attitudine pretenziosa, al fine di assaporare la vera libertà e vivere relazioni autentiche ed appaganti con gli altri, con noi stessi, e che dire con Dio.
Riconosco quanto sia schiavizzante ed incatenante desiderare, pensare ed agire nell’attesa più o meno consapevole di ottenere un certo risultato in cambio, e quanto sia quindi fondamentale modificare questa tendenza dis-ecologica che genera solo sofferenza e disperde energie preziose.
Tutti i giorni, in ogni ambito e situazione più o meno rilevanti, possiamo sperimentare come sia facile scivolare nella modalità dell’aspettativa: pretendere da noi stessi qualcosa che ancora non siamo pronti a fare, e magari psicologicamente “violentarci” per questo, aspettarci un bravo o un grazie per un lavoro ben fatto o semplicemente una risposta ad un messaggino e, che dire, aspettarci di essere amati perché amiamo.
Osservo che l’aspettativa delusa genera una condizione di frustrazione che, a sua volta, provoca tristezza e questo accade perché abbiamo evidentemente demandato all’esterno di noi l’appagamento di un bisogno spesso illusorio e disfunzionale.
Quante volte il nostro caro Maestro ripete che “la delusione è figlia dell’illusione”: 
far dipendere la nostra felicità ed appagamento dal verificarsi o meno di circostanze esterne genera un benessere illusorio che, seppur lì per lì può arrecare qualche beneficio, a lungo andare provocherà sofferenza proprio perché basato su una realtà relativa che, per sua natura, non è affidabile in quanto in perenne ed imprevedibile mutamento, incluse le reazioni delle persone che crediamo di conoscere.
Instancabilmente ci ripete che non abbiamo la disponibilità e il controllo su ciò che è all’esterno di noi e che diventa quindi pericoloso far dipendere da esso il proprio benessere; solo l’anima, aggiunge sempre, ci appartiene davvero.
Personalmente, osservo che questa tendenza non è facile da trasformare, soprattutto rispetto a quelle situazioni o persone nei confronti delle quali nutriamo, a ben vedere, un attaccamento non del tutto sano.
Fin quando, quindi, vivere liberi dalle aspettative non diventi una predisposizione acquisita e consolidata in noi, può venirci in aiuto viveka, la consapevolezza discernente che, se sapientemente attivata, ci consente di captare subito quando stiamo innescando interiormente questo meccanismo malsano, mettendoci in guardia dalle implicazioni che ne deriverebbero.
Ecco che allora, con impegno sincero e costante, questa tendenza pian piano si affievolisce e ne riscontriamo subito i benefici: assaporiamo una sensazione di irrinunciabile libertà interiore, in cui il nostro stato di benessere non viene più alterato da un grazie o da un risultato che magari non arrivano.  
Certo, questo non significa provare indifferenza rispetto a quanto accade attorno a noi, che anzi ci deve indurre ad elaborare riflessioni e valutazioni costruttive, bensì ci consente di acquisire una visione lungimirante e vivere la situazione con maggiore chiarezza e serenità.
Anche qui la soluzione chiara e cristallina ci viene offerta da Krishna nella Bhagavad- gita: in più occasioni illumina Arjuna sul punto, spiegandogli che il suo compito è perseguire il dovere prescritto con spirito equilibrato, senza attaccamento al successo o al fallimento, libero dal bramare i frutti dell’azione (cap. 2, sloka 38, 47, 48).
Operare al meglio delle nostre possibilità, e farlo con impegno, amore e dedizione a beneficio nostro e degli altri, è appagante di per sé indipendentemente dagli esiti, e ci predispone ad accogliere con equanimità e distacco emotivo i risultati del nostro agire, siano essi di segno apparentemente positivo o negativo.
Ancor di più, è essenziale riflettere su quanto l’attitudine pretenziosa sia un ostacolo micidiale allo sviluppo dell’Amore ed, a livello più alto, alla capacità di affidarsi autenticamente a Dio e al Guru. 
Affidarsi davvero implica imparare ad accogliere con fede nel cuore gli accadimenti della vita, anche i più dolorosi, pregando solo di potere ricevere, per misericordia divina, quella forza spirituale e coscienza necessarie per affrontarli e superarli con successo. 
E quella misericordia, se l’impegno e il cuore sono sinceri, arriva.
Pamela Dal Maso

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