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SI PUO' RICOMINCIARE SEMPRE

Scritto da Marco Ferrini

Si ricomincia tutte le volte che ci si sveglia al mattino: aprire gli occhi alla luce del nuovo giorno è un vero e proprio rinascere dato che, in quella fase coscienziale che è il sonno, la mente profonda (citta) viene resettata, riprogrammata e riconsegnata alla coscienza di veglia diversa da come ne era uscita la sera prima.

È una sorta di equazione: l’addormentarsi sta alla morte come il risveglio sta alla rinascita. Come si muore ogni giorno alla coscienza quando si scivola nell’oblio del sonno, così si rinasce alla coscienza quando ci si sveglia. Se fossimo profondamente consapevoli dell’opportunità, reale, di rinascere ogni giorno, vivremmo 365 vite all’anno e impareremmo molto di più dalle lezioni che ci impartisce la vita!

La civiltà dello Yoga è, per eccellenza, la civiltà del ricominciare. I Veda affermano che ciascun essere vivente nasce con un residuo karmico, la rimanenza della vita precedente, che rappresenta tutto ciò che non è riuscito a perfezionare nell’ultima esistenza e il capitale con cui riparte nella nuova.

La considero una visione che dà grande speranza perché mette nelle mani dell’individuo (jiva-butha che in sanscrito significa “spirito incarnato”) la piena responsabilità della propria vita. Si ricomincia sempre, dunque. Se bene, meno bene o proprio male dipende dalle scelte passate, dal debito karmico accumulato.

Chi ha agito nel dharma, ovvero in modo virtuoso, ripartirà avvantaggiato; al contrario rinizierà da una situazione meno propizia chi ha vissuto in modo adharma, ovvero infrangendo i principi cosmo-etici, le leggi universali, alla base della manifestazione cosmica.

Vivere seguendo “virtute e canoscenza”, come esorta l’Ulisse dantesco, è la strada maestra per diventare la migliore versione di sé stessi e di conseguenza raggiungere una felicità stabile e duratura.

Quando la parte luminosa di Sé conquista la coscienza, diventa davvero difficile non praticare le virtù. Ed è in questo esercizio quotidiano che la conoscenza può non rimanere sapere intellettuale, spesso sterile, ma tramutarsi in saggezza e aspirare a diventare sapienza.

Dunque, così come si è l’esito delle proprie scelte passate, ci è data costantemente la possibilità di riprogettarci secondo schemi sempre più evolutivi, sempre più volti a generare un sé migliore.

Il ricominciare non è solo possibile, è anche un dovere: moriamo e rinasciamo - molte volte in una vita, migliaia di vite nel corso di un’esistenza infinita - proprio per darci la massima possibilità di ricominciare, fino alla perfetta realizzazione spirituale.

Abbracciando questa visione (darshana), si impara a vedere che a tutti è data continuamente questa opportunità: la chiave del successo (spirituale, ma anche materiale) sta nel riconoscerla e accoglierla quando si presenta. In oltre quarant’anni, svolgendo il mio compito di guida spirituale, ho visto centinaia di persone rimboccarsi le maniche e ricominciare.

Sono stato testimone privilegiato della rinascita di tanti uomini e donne che hanno deciso di non lasciarsi schiacciare da pesi altrimenti insopportabili - fallimenti relazionali, sociali, economici, addirittura crimini efferati -, ma che hanno scelto di rinascere a sé stessi. Ho visto ricominciare persino pluriomicidi condannati al carcere a vita: prendere coscienza del male fatto, perdonarsi, chiedere perdono, e poi studiare, accogliere una fede, trasformarsi completamente. Se ricominciare è sempre possibile, servono però alcuni ingredienti: la conoscenza e la virtù - come detto sopra - e il terzo, il più importante: Ishavarapranidana, l’affidarsi al Maestro dei Maestri (come dice Patanjali negli Yoga Sutra).

Questa capacità di affidarsi si radica nel cuore dopo aver sperimentato la realtà dell’incessante rinnovarsi della vita. Ed è questo affidarsi che, secondo le scritture dello Yoga, fa fare quel salto quantico, quella metanoia, che consente di accedere ad un piano superiore di coscienza.

La pratica costante dello Yoga, secondo una disciplina (sadhana) e preferibilmente sotto la guida di un maestro autentico (la Tradizione considera pericoloso il “fai-da-te”), porta a consolidare in sé questo affidarsi. Che è prima un’intuizione e poi con il tempo diventa certezza.

Il filosofo Michel Foucault diceva che il progresso di una società si misura dalle prigioni e dai manicomi. Essi sono quei non-luoghi in cui le persone sono indotte a pensarsi “finite”, senza più chance.

Una società può dirsi progredita se sa incoraggiare a ricominciare chi ha momentaneamente fallito. Se sa incoraggiarlo a vedersi non come uno scarto sociale ma come un essere in cammino, dotato della facoltà di orientare e ri-orientare costantemente la propria esistenza verso scopi sempre più evoluti. Fino, possibilmente, a indirizzarla verso lo scopo supremo (parangatir) che, secondo le scritture dello Yoga, è la realizzazione spirituale.

Dice Krishna nella Gita: “Io sono nel cuore di ogni essere e da Me vengono il ricordo, la conoscenza e l’oblio. Il fine di tutti i Veda è conoscerMi” (15-15).

La rinascita allo Spirito è la rinascita per eccellenza, quella che porta il jiva-bhuta a identificarsi non più con il corpo di materia ma con la parte spirituale di sé, la sua vera essenza.

Questo è il ricominciare che libera una volta per tutte, non tanto dalle fatiche e dal dolore che continueranno inevitabilmente a segnare l’esistenza incarnata, ma dalla paura. A partire dalla paura più profonda, quella della morte intesa in modo erroneo come la fine di tutto.


ARTICOLO DI MARCO FERRINI PUBBLICATO SULLA RIVISTA VIVERE LO YOGA n° 82,  AGOSTO-SETTEMBRE 2018

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