In sanscrito, “sukha” significa ‘facile’, ‘piacevole’, per estensione, ‘comodo’. Insieme a “sthira” (‘stabile’, ‘saldo’, ‘costante’) il termine costituisce, nella visione degli Yogasutra di Patañjali, uno dei presupposti fondamentali per assumere, in modo corretto, qualsiasi asana (Sutra II.46). Etimologicamente, “suhka” indica il ‘buono spazio’, la condizione migliore nella quale è possibile compiere al meglio qualunque azione e risiedervi con un senso prolungato di benessere, così come “duhka” è il ‘cattivo spazio’, un termine che indica, invece, una situazione di sofferenza, qualcosa ‘difficile da sopportare’ e da cui non vediamo l’ora di affrancarci. Nello yoga autentico, come nella vita, tutte le posizioni devono poter essere assunte con stabilità e costanza (sthira), ma contemporaneamente con facilità e comodità (sukha), senza rigide costrizioni ma con serena fermezza, senza imposizioni né lassismo, ma invece con convinta coerenza e determinazione compassionevole. Solo in questo modo, nello yoga come nella vita, le nostre posizioni potranno essere, come dice Patañjali, “sthira-sukham asanam” (II.46) e potremo fare un’esperienza prolungata e piacevole di ‘ciò che non ha fine’ (“ananta-samapatti-byham”, II.47), ovvero stringere un autentico rapporto con la dimensione spirituale, dentro e fuori di noi.