Con Padmasana (Posizione del loto), Śavasana è una delle posizioni di meditazione e rilassamento tra le più antiche, ed è infatti menzionata in tutti i maggiori trattati della tradizione yogica. L’altro suo nome è “Mritasana”, dal nome di Yama-Mrityu, il deva della morte. Assumendo questa posizione, decidiamo di entrare nella forma yogica che simula l’esperienza più estrema di tutte, la morte, nell’abbandono totale del corpo alla terra, nell’introversione più profonda e nel conseguente distacco dagli oggetti dei sensi. Si tratta di un’esperienza di sottrazione e privazione estreme, che noi simuliamo nella pratica yogica, ma che inevitabilmente incontreremo, prima o poi, nella vita fuori dal tappetino. Tuttavia, così come nel quotidiano Śavasana conclude spesso la nostra sequenza di asana, preparandoci alla pratica successiva, allo stesso modo, la morte non rappresenta il punto terminale del nostro percorso esistenziale. Al contrario, per lo yogi spiritualista essa costituisce soltanto una tappa intermedia all’interno di una linea evolutiva irreversibile, che ci chiama costantemente a crescere, evolverci e rigenerarci, seguendo il nostro destino spirituale e procedendo di trasformazione in trasformazione, verso la meta finale: lo stato di Yoga, cioè l’unione eterna, gioiosa e sapiente, con l’Anima Suprema, Dio.