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MIGLIORARE E REALIZZARSI

Scritto da Marco Ferrini

Solo quando si decide di combattere le cattive abitudini si entra davvero nello Yoga. Ed è un passo in avanti straordinario. Significa che si è autenticamente disposti a percorrere il cammino della realizzazione di sé, che sola può portare benessere e felicità duraturi. 

Ci sono diverse tappe per arrivare a vincere i lati oscuri del proprio carattere e ognuna di esse aiuta a raggiungere tutte le altre. Una premessa è però necessaria: ognuno è diverso da chiunque altro e deve compiere un percorso suo proprio. L’obiettivo non è arrivare a imitare qualcuno, nemmeno il proprio modello o maestro di vita. La meta finale è diventare la migliore versione di sé stessi. 

CONOSCERSI A FONDO 
La prima tappa da raggiungere è la conoscenza approfondita di sé. Capire a che punto si è e dove si vuol andare. Guardarsi onestamente allo specchio, anche attraverso gli occhi degli altri. Comprendere quali sono i limiti caratteriali, relazionali, emozionali, culturali che creano sofferenza a sé stessi e agli altri. Ogni sofferenza che si prova, ogni conflitto che si causa, ogni offesa che si riceve o si infligge racconta qualcosa di sé, di chi si è e di dove si è nel proprio percorso evolutivo. Come si ha agito o reagito? Si è in grado di perdonare o si convive con il rancore o altre emozioni disecologiche? 

Con la minuzia di un filologo o di un botanico va osservato e catalogato ogni personale successo e insuccesso, capendo bene se il primo è in realtà il secondo e il secondo è in realtà il primo, perché è molto comune scambiare gli insuccessi per successi, e viceversa. 

Le motivazioni che spingono all’agire sono un altro parametro rilevante di conoscenza di sé, forse il più rilevante. Infatti la motivazione è più importante dell’azione in sé e, nel bene come nel male, determina la qualità della nostra vita. Sono il calcolo e l’interesse il principale motore del nostro agire? O una visione di ordine superiore?

Compiuta l’analisi, meglio se con la supervisione di qualcuno spiritualmente più evoluto (un maestro, un insegnante, un autentico amico e vero saggio…), si riesce a misurare con precisione la distanza tra dove si è e dove si desidera arrivare. 

Secondo lo Yoga per ottenere la conoscenza di se sono indispensabili un modello di vita (nella Tradizione è il guru, il maestro spirituale) e la conoscenza della “scienza sacra”, cioè delle scritture dello Yoga, che svelano ciò che si deve e ciò che non si deve fare per vivere in armonia con la Vita nella sua pienezza (il dharma).      

LASCIARSI ISPIRARE E ALZARE LO SGUARDO
Serve una stella cometa per mettersi in cammino: una visione, un darshan. E che nel cuore si accenda il desiderio, potente e vibrante. “L’uomo non è che desiderio” si legge nelle Upanishad, e diventa ciò che desidera. Qual è il nostro ideale? In cosa crediamo? Quali sono i nostri valori più alti? Per cosa o per chi desideriamo spendere la nostra vita? 

È tale visione ciò che consente di alzare lo sguardo da terra e puntarlo verso il cielo.  È proprio guardando in alto che inizia il processo di allontanamento dalle cattive abitudini. Nella Bhagavad Gita è detto: “Paraṁ dṛṣṭva nivartate” (II, 59): contemplando un bene superiore, si cessa di [concupire quello inferiore]. Insomma, quando si sperimenta un piacere superiore, automaticamente si perde il gusto per i piaceri più bassi: quello che si considerava un profumo, magari poi ci appare un fetore; e viene da sorridere ripensando a ciò che precedentemente eccitava i nostri sensi e ci motivava all’azione. Inizia così un nuovo stadio di vita con gusti e sentimenti più raffinati, maggiormente orientati al bene. Cambia il modo di desiderare e di agire, e ciò a sua volta amplifica e stabilizza l’ispirazione in una spirale ascendente.  

SERVIRE CON I PROPRI TALENTI 
L’ideale che si incontra, la visione che ci appare, va servito fedelmente. Siano essi una causa o una persona nobile o entrambe. Se abbiamo la benedizione di trovare qualcosa o qualcuno in cui credere, restiamogli fedeli. Prendiamoci questo impegno leale con noi stessi. 

Essere capaci di mettersi a servizio di qualcosa di più grande di sé stessi, che trascenda i confini angusti del proprio ego, è un ottimo modo per sconfiggere la parte più buia di sé, correggere il carattere, diventare persone migliori. 

Il servizio è la chiave della crescita umana e spirituale. Ci si può porre in un’attitudine di servizio in qualsiasi attività si compia, da subito. Servire il proprio marito, la propria moglie, il datore di lavoro, i collaboratori, gli amici, i discepoli. Servire il proprio maestro spirituale. Servire Dio. 

Il servizio è l’attitudine mentale di chi, in ogni situazione, si colloca dalla parte della soluzione e non del problema, e diventa perciò una risorsa anche per gli altri. 

  È fondamentale scegliere bene chi servire con i propri talenti, perché da tale scelta dipenderà chi diventeremo. Se si serve una persona saggia, si acquisirà parte della sua saggezza. Se si serve dei malfattori, gente avida e senza scrupoli, quali “file” si potranno mai “scaricare” da loro? 

Sempre nella Gita, Krishna insegna al discepolo-guerriero Arjuna il metodo con cui ci si avvicina a chi ne sa più di noi per acquisire le conoscenze che mancano: “Cerca di conoscere la verità avvicinando chi l’ha vista, ponigli delle domande con umiltà e servilo. Chi ha visto la verità può rivelartela” (IV, 34).  

Servire con lealtà, con continuità, con cuore sincero contribuisce a sviluppare il darshan, una visione sempre più nitida e luminosa. Senza servizio – rivela la scienza dello Yoga – il sapere non si fissa nel cuore, rimane astratto, non si traduce in stile di vita.

MUOVERE IL PRIMO PASSO
La distanza spesso siderale tra ciò che si è e ciò che si desidera diventare non spaventi. È una distanza relativa che potrebbe colmarsi improvvisamente solo per Grazia divina. Ma attendere in modo passivo e fatalistico il “miracolo” sarebbe da stolti. È più saggio lavorare, giorno dopo giorno, per farsi degni recettori del contatto con la divina Presenza. Mano a mano che il ricercatore sincero sperimenterà i primi successi, vedrà accrescersi spontaneamente il gusto e la motivazione, che a loro volta rafforzeranno la volontà. Serve una pratica quotidiana, simultanea, di tutti i passi indicati sopra, come fossero le “figure” di una stessa danza. 

È difficile, quasi impossibile, lasciare le cattive abitudini dall’oggi al domani, con una scelta deliberata, razionale. Sono talmente radicate e affezionate al soggetto che le porta, che non intendono affatto abbandonarlo. Ma compiendo ogni giorno uno, due, tre passi di questa danza il successo nella vita è assicurato. Il mio maestro Bhaktivedanta Shrila Prabhupada soleva ripetere a noi suoi discepoli per incoraggiarci a perseverare:  “La pratica è la madre della perfezione”.


ARTICOLO DI MARCO FERRINI PUBBLICATO SULLA RIVISTA VIVERE LO YOGA n° 88,  AGOSTO-SETTEMBRE 2019

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